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I MITI DI BERGERETH 
 
Pierre-Nolasque Bergeret (1782-1863) dipinse nella sua carriera numerosi dipinti a tema storico, ma a renderlo famoso, fu il ritrarre ciò che la leggenda narra dei momenti più importanti della vita dei grandi pittori. Naturalmente s'ispirò per le scene dei suoi quadri al testo cinquecentesco "Vite" di Giorgio Vasari, il primo importante storico d'arte, scarso pittore, notoriamente di parte (pubblicizzò con il suo testo lo stile pittorico del Manierismo e lo difese a spada tratta), purtroppo però anche troppo spesso scarsamente affidabile. Quando questo primitivo critico d'arte voleva esaltare chi ammirava, soleva inventarsi di sana pianta storielle per raggiungere il suo scopo, così come non esitava a denigrare e a mentire se disprezzava qualcuno, sia esso stato un suo conteporaneo o morto da tempo.  
Allievo di Jacques-Louis David, il pittore più importante del Neoclassicismo che sosteneva le idee illuministe settecentesche, Bergeret fu tra quegli artisti che pur accettando le teorie pittoriche neoclassiche, esplicò nella sua arte la fuga dalla realtà tipica del movimento Romantico. Anche ispirarsi a testi letterari fu una pratica comune negli artisti romantici e lui lo fece appassionandosi ai punti più salienti del testo del Vasari.  
Uno dei momenti "mitici" che Bergeret immortalò su una tela, riguarda il pittore quatttrocentesco Filippo Lippi, che lo storico propagandatore del Manierismo amò in modo particolare. Egli lo descrive catturato dai Mori durante un suo viaggio per mare assieme ad amici e reso da loro schiavo per diciotto mesi. Sembra che il Lippi un giorno decise di ritrarre su una parete il suo padrone vestito com'era "alla moresca" usando del carbone sottratto a del fuoco spento. Da quelle parti non si conosceva il disegno e la pittura e lo stupore del suo signore quando vide quel capolavoro fu tanto, che decise di concedergli la libertà come premio per la sua bravura.  
Sempre il Vasari indica come punto che segna il culmine dell'apprezzamento del grande Tiziano nelle corti europee, quando Carlo V si inchinò a raccogliere il pennello che era caduto di mano al pittore mentre lo stava ritraendo. Bergeret immortalò quell'attimo di gloria e di onore che venne dato al pittore veneto con grande maestria accademica. Egli dipinse le vesti dei protagonisti con il rigore neoclassico che esigeva l'assenza dei troppi oggetti e fronzoli usati nello stile Roccocò, anche se nei suoi lavori è evidente una ricaduta nei contenuti frivoli tanto detestata dagli illuministi.  
La morte di Raffaello è una delle scene più salienti che Bergeret trae dalle righe del Vasari per indicare il senso di smarrimento generale che causò la perdita di un tale talento dell'arte. (vedi anche l'articolo: Il mito di Raffaello nell'Ottocento).  
Il senso del dramma è qui reso dai colori scuri dell'opera e l'artista dipinge il fatto come voluto dalla leggenda, cioè con il richiamo di grandi personaggi del tempo a rendergli l'ultimo saluto. Il papa stesso gli fa visita per dargli l'Estrema unzione e il colore delle sue vesti rosse, spicca tra il nero degli altri che circondano il letto su i cui volti spicca lo sgomento per quella morte prematura.  
Molto divertente è invece l'anedoto che riguarda l'artista veneziano Tintoretto, magnificamente dipinto da Bergeret. Sembra che lo scrittore Aretino e Tintoretto fossero in buoni rapporti, ma un giorno il pittore venne a sapere di chiacchere malevole fatte dall'amico che si era permesso di dire pubblicamente battute a suo scapito. Dovendo l'Aretino posare per un ritratto quasi ultimato, egli ne approffittò durante una seduta per prendere un'arma e appoggiargliela sul corpo. Lo scrittore con la coda di paglia naturalmente si spaventò e gli chiese cosa stesse facendo al che, il pittore gli rispose di non muoversi perchè doveva prendergli le misure necessarie per finire il quadro. Personaggio di spicco della letteratura cinquecentesca, tenunto in gran considerazione dai potenti del tempo più per la sua capacità di spaventare con le sue spietate satire che altro, egli fu così a sua volta spaventato dalla originale tattica intimidatoria di Tintoretto, da non permettersi mai più di parlare male di lui.  
Bergeret dipinse l'evento rendendo perfettamente la comicità della situazione e in questo caso, aggiunse più oggetti del solito nel quadro rendendolo assai gradevole e di efficace effetto visivo.  
Molto fu il successo di questi quadri che nell'Ottocento crearono la moda artistica di riferirsi ad eventi cinquecenteschi non eroici. Tali immagini rivelano chiaramente l'inizio di ostilità verso le continue pretese dei governanti di autocelebrarsi con pitture eroiche e costituiscono i germogli del Romanticismo che sempre nello stesso secolo, si mise in netta opposizione al Neoclassicismo imperante.  
(FAGR 11-10-09) 
 
Filippo Lippi 
 
Carlo V e Tiziano 
 
La morte di Raffaello Sanzio 
 
Aretino nello studio del Tintoretto