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PITTURA OMNIA rivista della FAGR
L'ALLEGORIA DEL LOTTO 
 
Il pittore veneto Lorenzo Lotto (1480 — 1556/57) realizzò uno dei suoi maggiori capolavori nel 1505, mentre si trovava a Treviso presso il vescovo Bernardo de’Rossi, dal quale ottenne le prime commissioni di rilievo. Si tratta dell'opera chiamata comunemente "Allegoria del vizio e della virtù”, anche se sarebbe più corretto definirla un’allegoria dedicata al tema: “Amor sacro e Amor profano”, in quanto l’amore è il filo conduttore di entrambe le scene poste sullo stesso piano del dpinto. (Vedi immagini in basso)  
Tutta la raffigurazione è divisa in due parti da un albero spezzato dove solo un ramo riesce a mettere le foglie ed è sul lato che intende ovviamente l’amore spirituale. Secondo i simboli antichi infatti, l’albero rappresenta l’unione tra il cielo e la terra e il ramo verdeggiante invece interpreta la crescita dello spirito rivolto a Dio. Rivolto verso al lato sacro, vi è anche lo stemma del casato di Bernardo de' Rossi per riferirsi alle sue virtù di natura spirituale. Ma se l’albero proteso verso il cielo riesce a fiorire, il terreno su cui posa il putto (simbolo dell’amore puro) è arido: l’amore spirituale infatti non può fertilizzare il terreno giacché esso è rivolto solo al cielo. Il puttino tiene in mano un compasso e sparsi a terra vi sono due libri e una squadra, i quali si collegano i primi alla conoscenza e il secondo al “cerchio ideale” dell’amore, ovvero l'amore omnicomprensivo. Tra gli altri oggetti si può notare inoltre un flauto di Pan, il quale seppur attribuito a questo dio nell'antica Grecia considerato una divinità dedita alla lussuria sfrenata, venne però creato per amore e rappresenta il sacrificio di chi vuole mantenere la propria purezza anche a costo della vita. La leggenda vuole che la ninfa Siringa per sottrarsi alla passione di Pan si trasformò in canne, dalle quali il dio creò appunto il flauto per poter tenere l’amata sempre legata a sé. Vi sono anche altri oggetti che richiamano la musica (sicuramente amatissima dal vescovo de'Rossi), la quale definita “aria divina” in passato, venne pensata spesso come una sostituzione di voci angeliche. Sullo sfondo del dipinto si vede poi un putto con tante ali salire a fatica su di una montagna per avvicinarsi al cielo. L’idea del putto con più ali è stata presa dal novelliere medievale: "Gesta Romanorum" del 1300 ca., dove il dio dell'amore è descritto come un essere avente quattro ali. Secondo questo novelliere la prima ala interpreta il primo amore di grande e forte intensità che sopporta pazientemente ogni tormento e difficoltà; la seconda ala è il vero amore che sacrifica tutto ciò che gli spetterebbe di diritto; la terza ala è il vero amore che allevia la malinconia, l'angoscia e non ha mai paura; la quarta ala è la legge del vero amore che non invecchia mai e resta sempre giovane. E' quindi facilmente ipotizzabile che il Lotto abbia voluto richiamare i valori dell’amore puro delle Gesta Romanorum, al suo tempo molto conosciute tra le persone colte, aggiungendo altre ali al puttino.  
Se si sposta lo sguardo sull’altro lato del dipinto, c’è in contrapposizione alla salita dell’amore vero e profondo, una nave che affonda, certamente per rappresentare il declino dell’amore carnale rispetto alla salita della purezza. Lotto si apprestò qui a raffigurare l’amore profano, quello che include tutti peccati mortali della carne. Il terreno sotto il fauno sdraiato è verde e non arido come sotto il putto, lo sfondo è rigoglioso e dalle brocche scaturisce l’acqua anch'essa simbolo di fertilità come il verde della natura. L’amore profano è fertile, ma la fertilità può portare alla lussuria e alla conseguente morte dell’anima, come viene mostrato dall’albero al centro della scena, dove nella parte spezzata vi è uno stemma trasparente quasi come un fantasma, simbolo della sconfitta dell’anima.  
Dividendo la scena in queste due parti il pittore intendeva dimostrare quanto siano inconciliabili l’amore spirituale e l’amore passionale, ma anche che l’uno senza l’altro non potrebbero mai sopravvivere: dove si nutre solo lo spirito la terra muore e dove si nutre solo la terra, lo spirito non riesce a svilupparsi bene.  
Dieci anni dopo il Lotto, Tiziano Vecellio creò il celebre dipinto “L’amor Sacro e l’amor profano”, commissionatogli da Niccolò Aurelio come dono di nozze per la futura moglie Laura Bagarotto. L’impostazione qui è simile a quella del Lotto: da un lato la parte pura impersonata dalla figura ignuda con ai piedi un terreno arido e dall’altra la figura profana, una donna vestita con alle spalle un terreno fertile. Al centro su di un sarcofago-fontana, vi è lo stemma della famiglia di Aurelio, gran cancelliere di Venezia. Essendo questa un’opera realizzata per una donna dal proprio marito invece che per un vescovo, Tiziano dipinse un putto intento con una mano a miscelare l’acqua all’interno della fontana-sarcofago, per ricordare alla donna che i due diversi tipi di amore si posso fondere insieme e raggiungere la perfezione.  
Non sappiamo se Tiziano ebbe modo di vedere l’allegoria del Lotto che fu realizzata solo come custodia, una sorta di coperta per il ritratto del vescovo de’Rossi, ma possiamo senz'altro supporre che questo tema sull’amore e sulla difficolta degli esseri umani di riuscire ad arrivare alla perfezione unendo divino e terreno, fosse un tema molto discusso ai tempi di inizio Rinascimento.  
(FAGR 1-10-12) 
 
 
 
 
 
Tiziano Vecellio "L'Amor Sacro e l'Amor Profano"