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DIETRO L'IMMAGINE DI FEDERICO ZERI 
 
Il testo ricostruisce le conversazioni tenute da Zeri presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da lunedì 15 a venerdì 19 aprile 1985. Ludovica Ripa di Meana ha trasformato in scritto le "conversazioni".  
Prima conversazione  
Zeri spiega i motivi politici e storici alla base di una commissione per un quadro; i codici simbolici e iconografici scelti per i precisi motivi dai potenti del passato, col passare del tempo vengono dimenticati, ma essi sono l'unica chiave per la comprensione dell'opera d'arte e se vengono perduti, non è più possibile un'esatta lettura dell'immagine riprodotta. Un esempio è la bellissima tavola di Agnolo Bronzino "Venere e Amore" ora a Londra, al National Gallery, il cui significato è ancora oggi per lo più oscuro.  
La conversazione prosegue nel riscoprire i quadri i cui significati sono caduti nell'oblio come "I due ambasciatori" di Hans Holbein il giovane (Londra, National Gallery), dove in un primo momento fu erroneamente intravisto un foglio di carta, mentre in realtà si tratta di un teschio umano distorto da una prospettiva alterata e che poteva essere riconosciuto ed esaminato attraverso un forellino, praticato all'altezza opportuna nella cornice del quadro, sul lato destro.  
Nella "Madonna con Bambino" di Francesco Bonsignori, (Verona, Museo di Castelvecchio) viene spiegato perchè il Bambino dorme su una pietra fredda, sottointendendo il messaggio della sua successiva morte. Da attenta valutazione si nota che il Gesù Bambino dorme su una pietra dell'unzione simile a quella del "Cristo Morto" di Andrea Mantegna (Milano, Pinacoteca di Brera).  
Nella "Madonna con Bambino" di Carlo Crivelli (Bergamo, Accademia Carrara), dove appaiono mele (una in mano al bambino e due sullo sfondo), un cetriolo, un garofano e una ciliegia, che si sono a lungo creduti dei capricci del Crivelli, invece spiega Zeri, hanno un significato ben preciso: le mele si riferiscono al peccato originale, di cui Cristo prende su di sé il peso e ne libera gli uomini trasmettendo il Battesimo; il cetriolo simboleggiava la resurrezione; il garofano oltre ad essere un simbolo nuziale è anche un simbolo di dolcezza come la ciliegia, che sono riferiti alla Madonna, vista come sposa di Cristo, come la vogliono molti teologi della Chiesa.  
In "Copertina di evangelario" della metà del XII secolo (Zurigo, Landesmuseum), il critico d'arte descrive la tecnica dello "smalto cloisonnè" usata per questa copertina.  
"Pagina di salterio Svizzero" del 1312 (Zurigo, Landesmuseum), viene messo dallo storico in evidenza la figura di Cristo che appare più umana e meno maestosa di quelle del suo tempo.  
Il "Salvator Mundi" di Antonello da Messina (Londra, National Gallery) è uno dei molti quadri guastati da infelici restauri; qui infatti in seguito ad una pulitura avvenuta presumibilmente nel diciannovesimo secolo, è apparsa una mano in atto di benedire in un impianto prospettico minore rispetto a quella che si vede nel dipinto. Il pittore la cancellò per metterla in maggiore evidenza. I critici lo chiamano "pentimento" quando l'artista cambia idea su come eseguire un quadro.  
Sempre di Antonello da Messina il "Cristo" (New York, Collezione privata), viene definito da Zeri con una straordinaria smorfia, che gli da un'aspetto mafioso; mentre su retro c'è il "San Gerolamo" dove la figura è completamente rovinata, mentre il paesaggio che circonda il Santo è in buone condizioni. Questo per via della devozione del committente che a furia di baciare l'immagine del Santo, l'ha completamente rovinata. Il cardinale Garampi (fonte della metà delSettecento) descrivendo un quadro della Vergine in cui manca la testa, definì questa pratica molto comune "sudiciume da baci".  
Qualcosa di analogo è accaduto alla famosa statua di San Pietro nella Basilica di San Pietro in Vaticano, che essendo continuamente toccata e baciata sul piede destro, ora è addirittura corroso.  
La "Resurrezione di Lazzaro" di Sebastiano del Piombo (Londra, National gallery) è in buono stato di conservazione, e si tratta di un quadro ideologicamente molto complesso, in cui Zeri vede nella -Resurrezione di Lazzaro- il desiderio del pittore di una resurrezione di Roma, una specie di protesta in chiave simbolica. Egli fa notare come Sebastiano del Piombo fosse sempre stato in contatto con personaggi riformisti. E' possibile che nell'opera vi siano messaggi religiosi oggi impossibili da captare. Ci sono epoche artistiche che possono essere comprese solo al momento opportuno anche se non riusciremo a capire il passato in tutte le sue implicazioni. I gusti e le tendenze cambiano di continuo ed è già difficile capire le canzoni,i giornali e le musiche di una ventina di anni fa, figuriamoci l'abisso che ci separa dagli uomini dei secoli scorsi.  
"San Nicola da Tolentino" di Piero della Francesca (Milano, Museo Poldi Pezzoli) è il quadro con cui conclude la prima conversazione e ci informa su un'altro fattore che rende difficile la lettura di un opera: la divisione dei polittici per la vendita a pezzi. Solo quando i dipinti possono essere ritrovati e avvicinati, si può con certezza stabilire l'origine e il tema iconografico. Questo San Nicola per tanto tempo è stato scambiato per San Tommaso d'Aquino, invece faceva parte di un polittico che Piero della Francesca aveva eseguito per Chiesa di S.Agostino a Borgo San Sepolcro, il quale aveva una tavola centrale con una Madonna e Bambino (oggi perduta) e ai lati, dei scomparti con Santi. Di questi quattro Santi solo San Nicola è rimasto in Italia, ma l'identificazione è certa perchè nel San Giovanni e nel San Michele Arcangelo, si vedono le ultime pieghe del manto della Madonna sugli scalini del trono. Il capitolo viene concluso con l'elenco degli incendi e di grandi catastrofi per l'arte, come lo furono la Rivoluzione francese e quella riformista inglese che distrussero tantissime opere.  
(FAGR 24-6-09)  
Seconda conversazione  
Nella seconda conversazione, Zeri approfondisce il discorso del rapporto della storia con l'arte, in un contesto più vasto di quello delle motivazioni politiche dei committenti di quadri. Egli spiega come, se da una parte nacquero opere figurative complesse, in altre zone intere società preferivano non esprimersi con le figure. È il caso dell'Islam che come opposizione all'impero romano amante dell'arte figurativa, vietò il corpo umano dalle sue decorazioni. Le popolazioni barbare di ceppo germanico come gli Ostrogoti, avevano un modo di pensare molto diverso dai romani, ed esprimevano la loro creatività attraverso musiche e canti che essendo di natura più effimere, non sono giunte fino a noi. Probabilmente essi eccellevano nell'arte tessile di cui nulla si è salvato. Noi oggi abbiamo solo una pallida idea di quello che dovevano essere le città piccole e grandi dell'impero romano, tutte gremite da migliaia di statue, come è anche confermato dagli scritti ritrovati; Roma, Cartagine,Alessandria ne erano piene ma con la sua caduta, vennero tutte fatte a pezzi, così come le argenterie degli oggetti di lusso che considerati bottino, si preferiva sbriciolarli uno ad uno, piuttosto che dividerseli interi rischiando di perdere qualcosa.  
Questa usanza fu mantenuta anche nel medioevo. La Bretagna dopo l'Impero Romano, si era divisa in molti staterelli con un re, e ognuno di loro si faceva seppellire con il proprio tesoro. Moltissimi di questi tumuli sono stati saccheggiati nel corso dei secoli. Ci sono testimonianze scritte che nel XVII secolo, esisteva una ricerca accanita di questi tesori e i ricercanti, si dividevano il bottino facendo a pezzi gli oggetti ritrovati per spartirseli in parti uguali. Un'altra civiltà che non ha mai avuto una tradizione figurativa è l'Irlanda. Mai assoggettata all'Impero, la sua popolazione sviluppò la propria creatività con musiche, canti e racconti orali. Un caso tipico delle molte aree dove manca una tradizione figurativa, è la Sardegna, dove era forte la tendenza verso i canti e verso l'invenzione delle forme del pane. Lo storico inoltra poi il discorso dell'arte guida che ai tempi dei romani non era la scultura, ma la pittura, al contrario di quello che si pensa. Della pittura greco-romana non è rimasto quasi nulla, un eco però molto preciso della tecnica, l'abbiamo nei cosiddetti ritratti.  
Nel"El-Faiyum” (nome del deposito dove sono stati ritrovati), dei dipinti corredavano le mummie nelle varie tombe egizie. Qui vi è un profondo verismo e naturalismo che indica una pittura d'alta qualità. E se i pittori dei piccoli centri dell'Impero erano a questa altezza, si può immaginare nelle grandi città cosa ci fosse. Nel Rinascimento l'arte guida fu l'architettura; quadri e statue vennero concepiti in chiave architettonica. Nella Lombardia del Trecento l'arte della miniatura fu più importante della pittura e influenzò l'arte della Borgogna e l'arte nordica. Zeri parla poi di come nei tempi cambia continuamente il concetto dell'arte. Spesso sono state considerate arti minori, arti invece somme, come ad esempio la miniatura. Per questo pittori ai loro tempi più osannati di Tiziano, pare oggi inconcepibile anche solo paragonarli al grande pittore veneto, così come al contrario, non si capisce come possano essere stati disprezzati pittori rivalutati solo di recente, come l'olandese Pieter van Laer, detto il Bamboccio, attivo a Roma nella prima metà del Seicento.  
Viene poi affrontato il problema dell'identificazione dei quadri. Il camuffamento di artisti è un fatto assai comune nell'arte. Un caso tipico è quello del papa Alessandro VI Borgia, il quale chiamò a decorare la sua residenza in Vaticano, molti artisti dall'Umbria, ma anche dal Lazio, dall'Abruzzo e da Firenze. Questi pittori però, erano sotto la mente direttrice del Pintoricchio e si adattarono tutti a dipingere con il suo stile. Questo rese difficile distinguere le varie mani. Non si sarebbe mai scoperto che partecipò anche Bartolomeo di Giovanni, se non si fosse ritrovato un disegno preparatorio della grande lunetta, su cui vi era la grafia indiscutibilmente sua. Da qui fu più semplice distinguere dove questo artista avesse dipinto, ma senza quel disegno sarebbe stato impossibile. Vi è poi il Caso di Piero della Francesca, il quale dopo la metà del XV sec., proseguì il Ciclo cominciato da un pittore gotico, terminandolo con il suo stile. Fu così che molti critici ritennero impossibile che quella mano appartenesse a Piero della Francesca. Il caso più clamoroso di “falsi” è quello di Bartholomeus Spranger che lavorò per Rodolfo II a Praga e la cui opera ebbe lunghissimo seguito in Europa centro-settentrionale. Spranger copiò per ordine di un Pio V, un trittico del Beato Angelico e imitò un'opera del 1480 “La strage degli innocenti” della Chiesa di Sant'Agostino a Siena(questa copia si trova oggi nei depositi della pinacoteca di Monaco. La conversazione termina trattando il caso del quadro di Georges de la Tour “L'indovina” (New York-Metropolitan Museum), che venne dichiarando falso perché il giovane ingenuo che si fa leggere la mano mentre viene derubato, porterebbe abiti della moda successiva al tempo del quadro.  
(FAGR 22-7-09)  
Terza conversazione  
Nella terza conversazione Zeri parla di opere dallo scarso valore artistico e storico, utili però a spiegare alcuni dei molti problemi che può incontrare chi vuole diverire un conoscitore d'arte.  
Tra i compiti dello studioso, egli annovera come particolarmente complicato stabilire se un quadro è una copia o un originale e chi l'ha dipinto. In passato i commissionanti facevano fare copie dei loro quadri per parenti ed amici tramite il mezzo della stampa e questi a loro volta, si comportavano ugualmente con i i loro parenti e amici; gli artisti da queste immagini che circolavano liberamente, ne riproducevano altre su tele di ottima qualità e tra le innumerevoli copie rimastoci oggi, scovare l'originale non è certo facile. Si deve considerare che a partire dal Seicento, il commercio di stampe fu vastissimo, tanto da poter essere paragonato a quello della fotografia nei nostri tempi. Il ruolo della stampa non fu però negativo, anzi, esso fu fondamentale per lo sviluppo dell'arte. Molti pittori raggiunsero la fama grazie alle stampe delle loro opere che uscivano persino dai confini dell'Europa fino a raggiungere l'Asia.  
Per spiegare la difficoltà di riconoscere un originale, il critico d'arte indica come colpa il gran numero di copie in circolazione, tutte di buona qualità. Lo storico cita quadri per fare esempi, tra cui vi è il dipinto della “Madonna del popolo” di Raffaello d'Urbino, il quale per motivi che sfuggono, fu riprodotto in passato in quantità incredibile. Mentre di alcuni capolavori del maestro urbinate non esiste nemmeno una copia, di questo quadro se ne sono ritrovate in Russia, nelle Fiandre, in Spagna e in Francia.  
Per Zeri gli infrarossi sono indispensabili per scoprire gli originali perchè mostrano i “pentimenti” dell'artista con cambiamenti di posizioni delle mani e del corpo, inutili per chi deve solo copiare un'opera.  
Egli mette in guardia sempre dalla facinoleria. Nel suo lavoro lo studioso si trova di fronte spesso a pale, trittici e dittici smembrati non solo per motivi di commercio, ma per volontà degli stessi eredi nelle divisioni di eredità e ricomporli, è spesso come risolvere dei rebus. Molti affermano che se un'opera duecentesca o trecentesca appare in buone condizioni, è senz'altro una copia, ma non vi è nulla di più sbagliato. L'assenza di crepe, fenomeno detto cretto, può essere dovuto a tecniche non usate da tutti i pittori, le quali possono resistere nel tempo a lungo.  
Grande spazio in questa conversazione viene data per infierire contro i cattivi restauratori. Zeri ripete più volte che essi hanno fatto più danni del trascorrere del tempo, le guerre e altre calamità. Molti quadri oggi considerati capolavori, furono abbandonati in depositi di chiese, musei e conventi senza essere mai né puliti né verniciati. A parte Giotto, Leonardo, Michelangelo e Raffaello sempre amatissimi, gli altri artisti subirono giudizi diversi nei vari periodi che susseguirono le loro vite e considerare di poco conto l'arte eseguita nei secoli precedenti, fu un concetto comune a tutti i popoli. Tuttavia la pulitura fatta da un bravo resturatore riporta sempre i colori allo stato originale e i veri guai iniziarono soltanto nell'Ottocento con la moda di verniciare i quadri con una vernice giallastra detta di “galleria” che rendeva identici tutti i lavori artistici dal Duecento al Seicento. Nel Novecento fino a poco tempo fa, si usava il “giallo d'India” fatta con orina di cammello che se riprodotta artificialmente, assorbiva nei colori annerendoli in maniera da non poter più essere tolta. Per gli esperti riconoscere gli originali tra tante copie, diventò così ancora più difficile, in quanto le opere rovinate da un restauratore impediscono di riconoscere le mani dei pittori con certezza.  
Varie sono le riflessioni che lo storico inserisce nell'informarci dei problemi che incontra un conoscitore dell'arte, ad esempio parla della Gioconda di Leonardo eseguita con colori chiari e ora rimasti scuri perchè il pubblico abituato a vedere Monna Lisa per tradizione in tale modo, non gradirebbe cambiarlo come averrebbe dopo una buona pulitura. Egli afferma che le tradizioni dovrebbero essere rispettate impedendo però di farle divenire tiranne. Zeri conclude dicendo che il concetto di originale, di unico in una opera artistica, nacque solo a metà del Settencento, prima le copie venivano valutate quanto gli originali se ben fatte; ciò è provato dalle costosissime cornici con cui esse si possono ammirare nelle pinacoteche più antiche.  
(FAGR 9-7-10)  
Quarta conversazione  
Nella quarta conversazione Federico Zeri tratterà il problema della falsificazione delle opere d'arte ed esordirà dicendo che esse sono sempre esistite per l'alto interesse suscitato costantemente attorno a sé.  
Il principale motivo per cui si creano copie d'arte è legato al denaro, tuttavia non sempre è stato così, ci dice lo storico. Alle volte gli artisti del passato hanno eseguito falsi per deridere i lavori fatti dai maestri dei secoli precedenti a loro, insomma solo per il gusto della beffa. Un esempio famoso di un'opera dipinta per gioco è: "Giove che bacia Ganimede" (oggi alla Galleria Nazionale di Roma) eseguita da Anton Raphael Mengs, il quale la fece passare per un reperto ritrovato in uno scavo a scopo di mettere alla prova il famoso archeologo Winkelmann che cadde subito nel tranello.  
Il Settecento fu il secolo in cui le riproduzioni di capolavori iniziarono a moltiplicarsi fino a divenire una moda nell'Ottocento e non si pensi che costassero poco, al contrario esse venivano vendute a caro prezzo.  
Ancora oggi si amano le copie dei capolavori anche se si può più facilmente scoprirli come tali, diverso era invece nel passato (ad esempio sono stati copiati tantissimi Tiepolo e Guardi che nessuno riusciva più a distinguerli dagli originali). Purtroppo (e questo anche attualmente) molti storici dell'arte commettono errori gravissimi quando si trovano di fronte a capolavori di non facile comprensione. Per citare un caso ricordiamo il dipinto ad olio di Michele Tosini detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (allievo del figlio di Domenico il Ghirlandaio) "Busto di donna", ritrovato su un mercato dell'antiquariato, il quale fu scambiato per un falso perché si trattava della copia ad olio di un busto marmoreo (eseguita perciò con una tecnica particolare capace di trarre in inganno).  
Un'altra origine dei falsi è l'esigenza di manipolare le figure per ragioni di decenza o moralistiche. Il caso più famoso è il "Giudizio Universale" di Michelangelo che sollevò molta indignazione e rischiò persino di essere distrutto; si decise invece poi di coprire con veli e stoffe le parti considerate più scabrose. Casi del genere non sono affatto rari, addirittura sono stati vestiti nudi femminili perfino in prestigiose Gallerie come quelle Doria Pamphili e Colonna di Roma.  
Ci sono poi falsificazioni di quadri sempre secondo Zeri, veramente diaboliche. Pare che collezionisti privati e anche parroci, abbiano venduto in passato quadri famosi in loro possesso provvedendo prima a farsene fare una copia perfetta, la quale veniva successivamente anch'essa venduta come fosse stata originale. Il risultato è che ci sono molti quadri con lo stesso soggetto che nessuno sà più quale sia quello autentico.  
Ci sono inoltre falsari che inventano quadri dei secoli scorsi, ma questi sono facilmente riconoscibili perché lasciano sempre qualche traccia del loro tempo all'interno del dipinto.  
Nella maggior parte i falsi sono copie grottesche di quadri che non possono ingannare nessuno perché i maestri da copiare sono troppo bravi, ma purtroppo vi sono anche casi in cui il copista ha più talento dell'esecutore del dipinto originale.  
Lo storico dell'arte cita in questa conversazione molti lavori che riguardano la falsificazione e la conclude parlando del falsario detto il "patetico", attivo attorno il 1840-1860 (si tratta di un personaggio che conosceva i segreti dell'antica pittura e che riuscì ad ingannare molti storici per cui molti suoi lavori appaiono conservati in musei perché scambiati per buoni).  
(FAGR 4-6-12)