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ANDREA DEL SARTO 
 
Andrea del Sarto nacque a Firenze il 16 Luglio del 1486 da Costanza e dal sarto Agnolo di Francesco (ovviamente è alla professione paterna che deve il suo appellativo). Avviato come garzone nella bottega di un orefice, ancora giovane, secondo Vasari, divenne allievo di Piero di Cosimo. Come tutti gli artisti del suo tempo, prosegue la sua formazione in quella che Benvenuto Cellini definì “la scuola del mondo”, ossia passando le sue giornate nella sala del papa con altri giovani a disegnare i celebri cartoni  con le battaglie di Anghiari di Leonardo e Cascina di Michelangelo. Di venuto amico di Franciabigio, apre insieme a lui una bottega realizzando molte opere “in compagnia”. In seguito a un probabile viaggio a Roma nel 1511 con Jacopo Sansovino, la sua arte si fa più matura e si apre alla suggestione delle monumentali opere di Raffaello e di Michelangelo dei Palazzi Vaticani. Il suo nome diventa sempre più importante come punto di riferimento  dei giovani artisti fiorentini, e la sua fama raggiunge presto la Francia, dove si reca per un anno a lavorare presso la corte di Francesco I per tornare presto a Firenze, dalla bellissima moglie Lucrezia Fede, sposata nel 1518, un mese prima della partenza. Rientrato a Firenze dopo aver promesso al re francese di ritornare definitivamente presso la sua corte con la moglie, Andrea rimane invece nella città nativa, il cui ambiente culturale è più congeniale al suo animo. Andrea del Sarto muore nel 1530, stroncato da una terribile epidemia di peste. La sua pittura solenne e equilibrata, definita da Vasari “senza errori”, si propone come sintesi dell’arte dei grandi: Raffaello, Michelangelo, Leonardo, e portò con sé i germi del linguaggio manierista, che da lì a poco sarebbe esploso nelle opere dei suoi amici più giovani (Pontormo e Rosso Fiorentino). 
Elemento fondamentale della sintassi stilistica di Andrea è il colore che, rimanendo sempre luminoso, trascorre dai toni più caldi e bruni fino a quelli più accesi e cangianti. E’ il colore che gli permette di sondare la profondità delle sue composizioni, di allontanare o porre in primo piano un personaggio, modulandole attraverso il contrasto la distanza dagli altri protagonisti. 
La Madonna delle arpie (1517, Firenze, Uffizi), rappresenta la piena maturità artistica del pittore, è l’opera che riassume la poetica degli ideali dell’arte di Andrea del Sarto e al tempo stesso sintetizza il percorso dell’arte fiorentina del primo Cinquecento, punto di partenza per la grande stagione del Manierismo. Qui l’immagine della Vergine, avvolta nei suoi abiti colorati, è posta su una base marmorea destinata verosimilmente a una statua. L’artista pone la sua firma sul podio dalle forme geometriche, che si sciolgono nella zona centrale: compaiono in questo punto un’iscrizione e le celebri “arpie” con la bocca aperta, le lunghe ali e le gambe in forte aggetto che giungono a toccare la base del trono. 
Più o meno nello stesso periodo della Madonna delle arpie, l’artista fiorentino dipinge un’altra opera emblematica: la Disputa sulla Trinità, realizzata per la chiesa agostiniana di San Gallo. Elogiata da Vasari, che ne ammira “il disegno rarissimo” e “l’arte singulare”, quest’opera rappresenta una dissertazione di Sant’Agostino sul mistero della Trinità e propone un’innovazione iconografica nella rappresentazione dello Spirito Santo, che si manifesta sotto forma di fumo, secondo un’immagine che Agostino aveva ripreso dal Vecchio Testamento. Sempre per i monaci di San Gallo, insieme ai suoi due allievi Pontormo e Rosso Fiorentino, Andrea esegue nel 1512 Annunciazione, che lascia trasparire i ricordi romani in una personale rielaborazione raffaellesca del rapporto architettura-figura, dando più importanza alla prima.  
Nel 1525 il pittore è chiamato a dipingere nel chiostro grande dell’Annunziata, detto “dei morti”, la celeberrima Madonna del sacco, capolavoro del suo moderno classicismo. Lodata da Michelangelo e da Tiziano, quest’opera indica la soluzione del problema posto dal rapporto tra architettura e figura in uno spazio rarefatto, la cui profondità  viene suggerita da espedienti quali il sacco del titolo, il libro che Giuseppe sta leggendo e la balaustra di marmo sulla destra. 
Negli anni che precedono la sua morte, Andrea continua con incessante vitalità ad abbellire i monasteri, le chiese e le case fiorentine: dipinge L’Assunta Passerini, alcune Sacre Famiglie, la Pala di Pioppi; si intensifica inoltre la produzione di ritratti, tra i quali spicca un vero e proprio capolavoro, la Dama col petrarchino
Il vero e proprio interprete della concezione pittorica di Andrea del Sarto, colui che elaborò e portò all’estremo le premesse del maestro, fu Jacopo Carucci detto Pontormo, che frequentò la bottega dell’artista tra il 1512 e il 1513. Con Andrea, Jacopo compì probabilmente il viaggio a Roma, che costituirà per entrambi un’esperienza fondamentale. Insieme i due parteciparono alla realizzazione degli apparati decorativi per il carnevale fiorentino del 1513 e all’impresa delle decorazioi nella villa medicea di Poggio a Caiano.